mercoledì 21 febbraio 2007

Lo sviluppo organizzativo per le imprese edili

Le imprese analizzate condividono una serie di punti di forza, che permettono loro di presentarsi sul mercato in modo efficace:
  1. coinvolgimento attivo dell’imprenditore nella gestione aziendale, conoscenza diretta delle attività svolte, frequente concentrazione della formula imprenditoriale in una unica figura o, nel caso di più soci, chiara differenziazione dei compiti;
  2. diffusa cultura del lavoro, amore per il lavoro “ben fatto”: l’impresa non è solo uno strumento per “far soldi”;
  3. marketing di nicchia territoriale e relazionale, basato su una condivisione da parte dell’imprenditore dello stesso ambiente sociale di dipendenti, fornitori, clienti: inserimento sui valori del territorio in cui si opera;
  4. flessibilità verso i mercati, disponibilità a impegnarsi su più linee di attività;
  5. indebitamento spesso contenuto, grande attenzione alla gestione finanziaria complessiva.

Non manca tuttavia una serie di punti di debolezza diffusi, che in molti casi rappresentano il rovescio della medaglia dei punti di forza sopracitati:
  1. conservazione di un approccio di marginale al mercato, basato sulla convinzione di non essere in grado di influenzare la dinamica competitiva nel settore;
  2. intreccio tra affari e famiglia che porta a scelte incongruenti sul piano della razionalità gestionale;
  3. scarsa accumulazione di know how all’interno dell’impresa, insufficiente sistematizzazione della conoscenza posseduta;
  4. scarsa cultura pianificatoria e di budgeting, approccio indeterminato alla programmazione;
  5. strutture finanziarie autoalimentate e rigide, scarsa dimestichezza con gli strumenti del project financing;
  6. destrutturazione organizzativa che si traduce in una adhocrazia dell’ultimo momento e incapacità di misurare le prestazioni del personale;
  7. qualità non sempre organizzata e quasi mai comunicata e resa evidente;
  8. indulgenza verso condizioni non trasparenti di gestione e rapporto con committenti e fornitori.



Le priorità di intervento


La ricerca ha evidenziato situazioni organizzative, gestionali e di business in molti casi anche estremamente differenziate. Difficile fare un discorso progettuale valido per tutte le imprese.
Volendo trarre comunque una serie di considerazioni che si adattano a buona parte delle imprese analizzate si può dire che:
  1. le dimensioni di impresa non emergono come una fattore assoluto di ostacolo allo sviluppo; esistono solo dimensioni troppo piccole o troppo grandi rispetto al business in cui si vuole operare; quello che serve non è una crescita dimensionale, ma una crescita imprenditoriale e manageriale.
  2. Lo sviluppo passa da continui sbilanciamenti commerciali seguiti da aggiustamenti strutturali; il percorso contrario, cioè di sbilanciamento strutturale, rischia di essere fatale (come nel caso di impresa cessata da noi analizzato) oppure di bloccare lo sviluppo.
  3. Le imprese che si sono sviluppate partendo da piccole dimensioni, hanno:
  • internalizzato le funzioni amministrative;
  • esternalizzato buona parte della produzione;
  • esternalizzato parte dell’attività commerciale (a consorzi, a società miste);
  1. si sono basate su titolari dotati di titoli di studio appropriati (in caso di unico titolare) o su coppie di soci con funzioni ben distinte fra loro.

La crescita può essere favorita da alcune azioni organizzative:
  • sviluppo di figure di capi commessa nelle aziende all’interno di una struttura organizzativa per progetto;
  • introduzione di sistemi di programmazione e controllo;
  • sviluppo di nuove capacità di marketing;
  • creazione di reti di imprese, anche per gemmazione diretta, con imprese complementari;
  • investimento sull’innovazione dell’offerta, non solo in termini di prodotti ma anche di servizi.

Le azioni sopra descritte, lungi dall’essere prescrittive, si riferiscono ad un campione di imprese limitato, ma a nostro avviso significativo.



Lo sviluppo organizzativo per lo sviluppo di impresa


Le strade da intraprendere per lo sviluppo sono molteplici. Ne evidenziamo qui due, una che spinge l’attenzione fuori dai confini dell’azienda, l’altra che invece ha lo sguardo maggiormente rivolto alle problematiche interne.
La prima è la strada del benchmarking, la seconda è la strada della sistematizzazione e comunicazione delle conoscenze.

Il benchmarking è una strategia di individuazione di centri, esperienze e modi di fare "eccellenti" all'interno di un'organizzazione o di un sistema, per valorizzarli, renderli noti e farne pietre di paragone, parametri di qualità o modelli da imitare per l'intero sistema. Il benchmarking è un’attività volontaria di un‘impresa che vuole migliorare, e presuppone un ruolo attivo e di governo da parte di un ente terzo, pubblico o privato che sia. La posizione di una associazione di categoria o di un consorzio è, da questo punto di vista, la più indicata.
Il benchmarking costituisce un metodo di lavoro che si presta a numerose applicazioni rispetto ai problemi emersi in questa ricerca in quanto vi sono spazi in cui è possibile:
  1. economizzare sugli sforzi di progettazione e di innovazione delle singole imprese favorendo anzitutto la comunicazione e quindi la conoscenza delle esperienze e delle soluzioni vincenti già sperimentate da qualcun altro dentro il sistema;
  2. migliorare gli standard complessivi supplendo alle debolezze delle tradizionali linee di rapporto grazie all'autoimprenditorialità e allo spirito di emulazione.
Se promosso dall’associazione o dal consorzio, il benchmarking può essere sviluppato in forma estremamente cooperativa. In questo caso il flusso di conoscenza parte da aziende leader verso un team di altre imprese, anche in forma anonima, attraverso intermediari (consulenti, associazioni, enti di ricerca), creando così delle relazioni interorganizzative indirette.
Qualsiasi azione in ottica benchmarking presuppone un certo grado di cambiamento nella situazione dell’impresa coinvolta nel processo di scambio. Fondamentale risulta a tal proposito una profonda convinzione dei gruppi dirigenti.
La scelta benchmarking rappresenta una interessante possibilità per una impresa nel momento in cui è in grado di:
  1. conseguire consistenti economie di specializzazione;
  2. stabilire accordi rigorosi e verificabili;
  3. mantenere il controllo sulla sua missione.
Le imprese interessate a questa esperienza, oltre ad un supporto esterno, devono dotare la propria struttura di basi di conoscenza della propria organizzazione. Devono quindi creare competenze interne che possano dialogare con cognizione di causa con altre imprese e soggetti facilitatori, interpretarne le informazioni, valutare il grado di interesse dello scambio.
Quest’ultimo punto ci porta a trattare l’altra azione di sviluppo organizzativo da noi prefigurata, quella di intervento sulle conoscenze.

L’intervento sulla sistematizzazione e comunicazione delle conoscenze riguarda tutte le imprese analizzate, che segnalano difficoltà di circolazione delle conoscenze in azienda.
Questo spesso è dovuto alla scarsa abitudine alla formalizzazione delle conoscenze da parte di coloro che dovrebbero trasmetterle, ed una difficoltà comunicativa nel mettersi in contatto con linguaggi e contesti diversi, così che spesso esperienze innovative rimangono esclusivo appannaggio del titolare, che non si preoccupa di sistematizzare e divulgare il proprio know how.
La gestione del trasferimento delle competenze fra titolari e collaboratori (familiari, soci o dipendenti) richiede una serie di accorgimenti gestionali da parte di entrambe le parti, con una divisione dei compiti chiara fin dall’inizio.
Da parte del titolare occorre in particolare codificare le conoscenze possedute: si tratta in sostanza di passare da una conoscenza fortemente specifica ed idiosincratica, in parte esplicita ma spesso tacita, ad una conoscenza maggiormente scientifica, che assuma le caratteristiche di “bene” a disposizione del sistema aziendale. Più le conoscenze tecniche del titolare sono codificate e formalizzate maggiori sono le possibilità di trasferimento. Alcune attuali difficoltà di trasferimento infatti non stanno tanto nella complessità del lavoro in sé, quanto nell’insufficiente investimento ed attenzione alla sua codificazione.
Per le associazioni di categoria e le strutture di servizio alle PMI del settore costruzioni si apre uno spazio di lavoro importante per far crescere le capacità degli imprenditori di sistematizzare le conoscenze e comunicarle ai collaboratori. La consapevolezza da creare è che l’imprenditore non è solo colui che costruisce un’impresa e la sviluppa, ma è colui che sa anche trasmettere le proprie conoscenze e competenze ai collaboratori, non disperde il proprio know how al momento dell’abbandono dell’attività, sa generare nuove imprese e nuova imprenditorialità.
Se questi presupposti verranno soddisfatti allora potremo compiutamente parlare non solo di imprese di costruzioni, ma anche di costruttori di imprese.

Nessun commento: